
177-341 W
Ci troviamo all’interno della Nebulosa di Orione, la regione di formazione stellare più vicina al Sistema Solare, a soli 1500 anni luce. In questa nube colorata si nasconde un oggetto che sembra avere la forma di una goccia, e che in realtà è una giovane stella, che è stata battezzata come 177-341 W.
Non il nome più caratteristico o iconico, per sua sfortuna! L’immagine, la più nitida mai scattata di questo oggetto, è stata catturata dallo strumento Multi Unit Spectroscopic Explorer (MUSE) sul Very Large Telescope (VLT) dell’ESO in Cile.
L’arco giallo in alto a destra è la la testimonianza della interazione fra la radiazione prodotta da stelle molto luminose (in alto a destra, fuori campo), e il gas residuo intorno alla nostra stellina. Sappiamo che intorno alle stelle giovani si forma un disco di gas e polvere, da cui si formano a loro volta i pianeti. Nel caso di 177-341 W, il disco viene deformato e distrutto da altre stelle, che stanno in basso a sinistra, fuori campo; il materiale strappato al disco protoplanetario conferisce l’aspetto a goccia al nostro oggetto.
Oltre alla forma così particolare, è interessante soffermarsi anche sui colori, che ci danno molte informazioni sulla composizione chimica della sorgente e sulle sue caratteristiche fisiche come ad esempio temperatura e densità. Ogni elemento chimico, infatti, emette ed assorbe luce, cioè radiazione elettromagnetica, in colori (cioè a lunghezze d’onda) suoi caratteristici, e si rivela proprio nei colori che presenta la sorgente luminosa. Nel caso di questa giovane stella, i colori osservati mostrano la presenza di elementi quali idrogeno, azoto, zolfo ed ossigeno.
La caratteristica di MUSE è appunto la capacità di poter “affettare” la luce in fettine molto sottili a lunghezze d’onda diverse (l’esempio più noto è l’arcobaleno, che mostra la separazione della luce solare nei colori), e costruire con immediatezza e accuratamente immagini a lunghezze d’onda diverse, così da poter ottenere tutte le informazioni sulla regione che si sta studiando.
Crediti:
ESO/M. L. Aru et al./R. O'Dell/G. Beccari