Vapore, lavoro, Energia – seconda parte
Insieme ai progressi di ricerca scientifica sulla natura del calore avanzarono anche le conoscenze in ambito ad esso strettamente connessi come quello degli studi sui gas.
Uno strumento che sfrutta la compressione adiabatica di un gas per accendere un’esca infiammabile è l’acciarino prenumatico.
Acciarino pneumatico da dimostrazione
Acciarino pneumatico per uso domestico
Dimostrazione con l’acciarino pneumatico.
Versione moderna di acciarino pneumatico in legno con esca
Acciarino prenumatico da dimostrazione
L’acciarino pneumatico è un curioso strumento utilizzato in Europa, a partire dai primissimi anni dell’Ottocento fino all’invenzione di fiammiferi efficaci (1820 circa), come dispositivo per produrre fuoco e accendere sigari, candele e lampade. Alcuni ritrovamenti ne testimoniano l’uso anche presso popolazioni in varie parti del mondo (Sud Est Asiatico, Pacifico) forse fin da epoche più remote.
L’acciarino pneumatico permette di incendiare istantaneamente una sostanza facilmente infiammabile grazie al subitaneo riscaldamento dell’aria causato da una rapida compressione. In Europa, il fenomeno fu portato a conoscenza nel 1802 dal professore di fisica Joseph Mollet (1758-1829), che riportava un’osservazione accidentale fatta da un operaio della manifattura di Saint Etienne dove si costruivano fucili ad aria compressa. La scoperta generò non pochi dibattiti nella comunità scientifica dell’epoca che si interessava al comportamento e alle proprietà fisiche dei gas, allora ancora poco conosciute. In una cavità posta sul fondo del pistone si inseriva un’esca infiammabile. Questa era composta da una porzione essiccata e appositamente preparata di un fungo (Fomes fomentarius o fungo dell’esca). Il pistone veniva rapidamente spinto all’interno del cilindro (generalmente in metallo) per accendere l’esca, poi rapidamente estratto per poterla utilizzare incandescente.
Dell’apparecchio fu realizzata anche una versione, molto più longeva, utilizzata nei corsi di fisica come apparecchio dimostrativo. Infatti esso permette di mostrare in modo spettacolare la trasformazione di lavoro meccanico in calore tramite la compressione adiabatica di un gas.
Lo strumento dimostrativo è assai più grande di quello per uso comune e si compone di un tubo di vetro assai spesso (per resistere alla pressione) nel quale scorre un pistone di cuoio unito con un’asta di ferro ad una manopola di legno. Le dimensioni e il tubo in vetro permettevano di mostrare anche a una certa distanza il fenomeno di accensione. Sul fondo viene introdotta l’esca, o un batuffolo di ovatta imbevuto di un liquido facilmente infiammabile come etere, che si incendia grazie al riscaldamento di alcune centinaia di gradi ottenuto grazie alla compressione.
Oggi l’acciarino pneumatico è spesso venduto come curiosità o come accessorio nei “kit di sopravvivenza”.
Carnot iniziò gli studi attraverso cui arrivò a elaborare la prima teoria dinamica del calore mosso dall’interesse a ottimizzare il rendimento delle macchine a vapore e permettere alla Francia di superare il divario tecnologico imposto dalla Gran Bretannia.
Per questo era necessario capire come opera il vapore come forza motrice e come valutare la potenza sviluppata da una certa quantità di calore avendo a disposizione un certo salto termico.
In un’epoca in cui i concetti di calore ed energia non erano ancora ben definiti, Carnot elaborò l’idea di trasformazione ciclica reversibile per una macchina termica ideale che lavora tra due sorgenti a temperatura diversa e fu in grado di esprimere il massimo rendimento. Enunciò inoltre una prima versione del secondo principio di termodinamica.
Ciclo di Carnote.
L’interesse nel migliorare il rendimento delle macchine a vapore costituì lo stimolo per molti perfezionamenti della loro tecnologia.
Furono ideati diversi apparecchi, come gli indicatori per macchine a vapore, per misurare la potenza erogata da motori e macchine motrici reali.
Indicatore do Combes
Indicatore di Watt
Indicatore in uso
Funzionamento indicatore di Watt (Zoom)
Indicatore di Thompson
INDICATORE PER MACCHINA A VAPORE
Negli anni ‘90 del XVIII secolo James Watt (1736-1819) e un suo collaboratore, John Southern (1758-1815), idearono uno strumento che permetteva di tracciare un diagramma volume-pressione dal quale era possibile calcolare il rendimento di una macchina a vapore.
Lo strumento veniva avvitato sul coperchio del cilindro della macchina cosicché l’interno dello stantuffo dell’indicatore potesse essere messo in comunicazione, attraverso un rubinetto, col cilindro della macchina. Nello stantuffo è alloggiata una molla.
Aperto il rubinetto il vapore penetrava nel cilindro e la pressione agiva sullo stantuffo che comprimeva la molla muovendo un pennino appoggiato ad un foglio di carta fissato ad una tavola. Quest’ultima era collegata all’asta del pistone della macchina a vapore in modo tale da compiere un movimento orizzontale sincronizzato con il movimento del pistone della macchina. Il suo movimento era funzione delle variazioni del volume del cilindro sotto il pistone stesso.
Il pennino disegnava sulla carta una curva chiusa, chiamata diagramma indicatore, relativa al ciclo reale della macchina a vapore in questione. L’area interna al diagramma volume-pressione rappresentava il lavoro in un ciclo. Da questo dato si poteva dedurre la potenza erogata dalla macchina.
Lo strumento fu in seguito migliorato e ne vennero proposti numerosissimi modelli, alcuni dei quali rimasero in uso sino ai primi decenni del XX secolo.
L’indicatore modificato da Charles Combes (1801-1872), nel 1850 circa, portava alcune modifiche al sistema di registrazione e il diagramma veniva tracciato su di una banda di carta mobile trascinata su due rulli dal movimento del pistone
L’indicatore di Joseph W. Thompson (1833-1909), in uso all’inizio del XX secolo, ebbe grande diffusione. La carta su cui veniva iscritto il diagramma era avvolta su un singolo cilindro rotante.
La potenza erogata poteva essere determinata anche con il freno dinamometrico di Prony, un apparecchio che consentiva di eseguire misure in modo più semplice e immediato e, contrariamente all’indicatore, poteva essere utilizzato anche su ruote idrauliche.
Modello didattico del freno di Prony
Il freno di Prony applicato a macchine agricole
FRENO DINAMOMETRICO DI PRONY
Numerosissimi furono nel XIX e nel XX secolo gli apparecchi ideati per misurare la potenza erogata da motori e macchine motrici di vario tipo.
Il primo tra questi fu il freno dinamometrico detto “freno di Prony”, proposto nel 1821 dall’ingegnere e matematico francese Gaspard Clair François Marie Riche de Prony (1755-1839).
E’ composto essenzialmente da un braccio che si fissa mediante dei ceppi all’albero rotante della macchina in esame e al quale può essere applicata una forza tramite dei pesi. Per eseguire le misure si procede nel modo seguente: quando il motore è in movimento si stringono lentamente i ceppi e, per evitare che il braccio del freno sia trascinato, si aggiungono dei pesi. Regolando opportunamente l’attrito dei ceppi sull’albero rotante è possibile mantenere il braccio del freno orizzontale. Il lavoro della macchina viene dissipato in calore generato dall’attrito dei ceppi con l’albero motore.
Se:
l = lunghezza del braccio
F = forza (peso) che agisce all’estremità del braccio
V = velocità angolare dell’albero a regime costante
la potenza del motore sarà W = Vlf oppure W = 2Πv lF, dove v è il
numero di giri al secondo effettuato dall’albero motore.
Schema di funzionamento dell’apparecchio
MACCHINA A CILINDRO ORIZZONTALE
La relazione fra calore e lavoro costituì un argomento di grande interesse e molte furono le esperienze messe a punto per qualificarla.
James Prescott Joule fu un abilissimo sperimentatore che, grazie ad un ingegnoso apparecchio e attraverso una complessa esperienza, riuscì a misurare l’equivalente meccanico del calore.
Apparecchio di Joule
L’apparecchio presentato nel video è una versione didattica, degli inizi del XX secolo, di quello ideato da James Prescott Joule (1818-1889) nel 1845 per misurare l’equivalente meccanico della caloria. Tale equivalente è il fattore che permette di convertire un’unità di energia in un’unità di calore. Fra il 1837 e il 1850 circa, Joule si adoperò per misurare tale fattore e mostrare l’equivalenza fra calore e altre forme di energia (chimica, elettrica e meccanica). Grazie alle sue doti di abilissimo sperimentatore, ideò numerose esperienze per determinare tale equivalenza. Dapprima lavorò con pile e generatori elettrici per misurare il riscaldamento dei conduttori prodotto dalle correnti elettriche, poi studiò l’innalzamento di temperatura dell’acqua forzata in tubi capillari o dell’aria sottoposta a compressione. La sua esperienza più famosa però fu quella di produrre il riscaldamento di una massa d’acqua tramite il movimento di una ruota a pale azionata dalla caduta di una coppia di pesi.
Lo strumento utilizzato per tali misure si compone di un grosso telaio di legno al centro del quale è fissato un recipiente metallico nel quale può ruotare un asse verticale munito di palette. In esso è inserito un termometro di precisione. Sull’asse può essere inserito il perno con un cilindro in legno, munito di manovella, sul quale si avvolgono due funi collegate con due pulegge poste ai lati del telaio e montate su ruote antifrizione. Sugli assi delle pulegge si avvolgono delle funi che sostengono dei grossi pesi la cui altezza viene determinata da due regoli graduati.
Il recipiente viene riempito d’acqua e i pesi vengono sollevati e lasciati cadere numerose volte in modo che le palette agitando l’acqua ne provochino il riscaldamento. I pesi vengono sollevati agendo ogni volta sulla manovella del cilindro dopo che questo viene disinserito dall’asse delle palette.
Il lavoro effettuato dai pesi può essere facilmente calcolato conoscendo la loro massa e l’altezza di caduta mentre misurando l’innalzamento di temperatura dell’acqua è possibile determinare la quantità di calore ad essa fornita.
L’esperienza di Joule è concettualmente semplice ma presenta grandi difficoltà pratiche: l’innalzamento di temperatura è dell’ordine di piccolissime frazioni di grado e perciò il termometro deve essere estremamente accurato, il recipiente deve essere accuratamente isolato, il calore emanato dello sperimentatore può disturbare le misure, le variazioni di temperatura dell’ambiente in cui si opera sono altre cause di errore, ecc.. Tali fattori fanno sì che lo strumento didattico qui proposto permetta essenzialmente di illustrare il procedimento ma non di misurare effettivamente l’equivalente meccanico della caloria.
Joule presentò i risultati del suo esperimento nel 1845 a Cambridge davanti alla British Association for the Advancement of Science. In suo onore è stato dato nome all’unità di misura dell’energia nel Sistema Internazionale. Il valore trovato da Joule per l’equivalente era di 4,159 J/cal assai vicino al valore accettato oggi (4,184 J/cal). Dunque il lavoro meccanico necessario per innalzare di 1°C la temperatura di 1 grammo di acqua (1 caloria, appunto) equivale a circa 4,18 joule.
Anche lo strumento di Puluj è un apparecchio per la misura dell’equivalente meccanico del calore che ebbe un discreto successo soprattutto in ambito didattico.
Apparecchio di Puluj
Questo strumento fu ideato dal fisico e inventore di origine ucraina Johann Puluj (noto anche come Ivan Pulyui, 1845-1918) e permette di determinare l’equivalente meccanico del calore. Più compatto e facile da utilizzare dell’apparecchio di Joule, fu spesso utilizzato in ambito didattico.
Tramite una manovella è possibile far ruotare rapidamente un asse sul quale è montato un cono di acciaio. Un contatore permette di determinare il numero di giri compiuti dall’asse. Nel cono è inserito a sfregamento un recipiente anch’esso conico munito di una lancetta che indica una scala e alla quale è collegato un piattello che può essere zavorrato. Il recipiente viene riempito di mercurio nel quale pesca un termometro di precisione.
Per eseguire le misure nel piattello metallico si pone una zavorra in modo tale che, ruotando la manovella con velocità costante, la lancetta rimanga sullo 0 al centro della scala.
Il lavoro compiuto è semplicemente L = 2nπpl, dove n è il numero di giri fatti dall’alloggiamento del recipiente cilindrico (indicati dal contatore), p è il peso che zavorra la lancetta e l la distanza dell’asse di rotazione dal punto di applicazione del peso.
La quantità di calore sviluppato può essere determinata dall’aumento della temperatura del mercurio e dei recipienti metallici, quello fisso e quello mobile. Per effettuare misure più accurate è necessario apportare alcune correzioni dovute al calore perso per irraggiamento e per conduzione.
Con questo apparecchio Puluj trovò il valore di 4,26 J/cal per l’equivalente meccanico.
Il concetto di equivalente meccanico del calore fu fondamentale per la formulazione del proprio principio della termodinamica e del principio di conservazione dell’energia che rappresenta una delle più importanti generalizzazioni della fisica dell’Ottocento.
Come spesso è capitato nella storia della scienza diversi furono coloro che giunsero quasi contemporaneamente alle stesse conclusioni. Il principio di equivalenza fra lavoro e calore fu infatti elaborato da numerosi scienziati, le cui idee in un primo tempo faticarono non poco ad affermarsi.
Fra queste dobbiamo ricordare:
Julius Robert Mayer
James Prescott Joule
Hermann von Helmholtz
Ludwig August Colding
Nel 1800 scadde il brevetto di Watt sulla macchina a vapore. Ciò stimolò il proliferare di idee, perfezionamenti e novità tecnologiche che permisero una sempre più diffusa applicazione dell’energia fornita dal vapore.
La sistemazione orizzontale del cilindro della macchina a vapore fu la configurazione adottata nelle locomotive che fecero la loro comparsa agli inizi dell’Ottocento dando avvio, insieme ai battelli a vapore, ad una radicale trasformazione di tutto il settore dei trasporti con enormi ripercussioni sulla società dell’epoca.
Macchine a vapore a cilindro orizzontale utilizzate come motrici fisse furono comunissime nella seconda metà del XIX e nei primi decenni del XX secolo. In funzione delle loro dimensioni e della loro potenza erano utilizzate per azionare le più svariate macchine.
Quello mostrato nel video è un modello di macchina a vapore a cilindro orizzontale a doppio effetto realizzato verso il 1900.
Il pistone aziona un volano tramite il sistema a biella e manovella, mentre il sistema di distribuzione del vapore a cassetto è collegato ad un eccentrico sull’asse dello stesso volano. Su di esso si trova anche un secondo eccentrico che aziona una pompa aspirante e premente. Un regolatore di Watt permette di mantenere costante la velocità di rotazione.
Le macchine a vapore trovarono applicazioni in ogni tipo di industria. Esse azionavano le pompe e gli ascensori delle miniere, i laminatoi delle ferriere, le soffierie delle fonderie. Le macchine tessili venivano azionate da gigantesche motrici a vapore, così come le macine dei mulini o le più svariate macchine utensili.
Negli ultimi decenni del XIX secolo, con la nascita dell’industria elettrica, furono sviluppate macchine a vapore operanti a grande velocità e che potevano essere accoppiate direttamente ai generatori elettrici senza dover ricorrere a ingombranti sistemi con volani e lunghe cinghie di trasmissione.
Argano azionato da una macchina
a vapore con caldaia verticale
La macchina di Corliss presentata
all’esposizione universale di Filadelfia del 1876
Locomotore e aratro utilizzato
per aratura a vapore
“Vapore, Lavoro, Energia” è stato realizzato dalla Fondazione Scienza e Tecnica di Firenze nell’ambito del progetto HIPST (History and Philosophy in Science Teaching), 7° Programma Quadro dell’Unione Europea
Ideazione, ricerca e testi: Silvana Barbacci, Paolo Brenni, Anna Giatti
Immagini e editing video: Antonio Chiavacci
Progetto grafico, programmazione e montaggio: Luca Brusamolino
Per le animazioni si ringraziano: ThinkQuest (http://library.thinkquest.org/C006011/) per la macchina di Savery e di Newcomen, Don Ion per il Ciclo di Carnot, Valentino Szemere per l’indicatore di Watt, James E. Koehler per la locomotiva a vapore.
Si ringraziano per la collaborazione: Laura Faustini, Laura Saba e gli insegnanti Barbara Bellaccini , Ivan Casaglia , Paola Falsini, Silvia Pirollo